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RACCONTI
 
 

Adamo Bencivenga
La donna con la veletta




 


 
 


...Mattino presto, la stazione, un treno che parte, ansia, attesa, angoscia, palpitazioni, una valigia, pesante di giorni, vissuti all'ombra, segreta, ninnoli, pezzi di carta, foto, ritagli, regali, diari, lettere: "io ci sono, ci sono sempre stata......"

Occhi che vagano, in cerca d’un volto, un sorriso, una sciarpa, un orologio, un giornale...... Occhi che pregano, nervosi, due scarpe, nere di camoscio, tacchi di metallo, un marciapiede, un altoparlante, cartacce....... Tardi, maledettamente tardi. "Non viene, ormai non verrà". Qualcuno urla, è ora, gente che s'affretta, saluti, spintoni, fazzoletti, qualche lacrima, uno scusi.......

Meno di due minuti, poco più di uno, teste senza volto, capelli anonimi, cappelli rossi, brividi, rassegnazione, dietro ad ogni sconosciuto un altro sconosciuto, pensieri che sbattono, fanno male, scuse, non avrà potuto, il lavoro, il figlio, la pioggia, il traffico, un telefono in mano muto, un contrattempo, oppure......

Dubbi, se avesse voluto, flash, ricordi, ritagli di vita, l‘estate scorsa al mare, un solo giorno. Ieri sera, le sue braccia, caldo, tepore, convinzione, sicurezza, la decisione, la fuga, finalmente insieme, altrove, la sua mano calda, l'amore, ieri come in altri ieri, come ogni sera, di fretta, veloce, da domani sarà tutto diverso, ma ieri, come altri ieri, spalancavo le gambe, le mani, al suo telefono che squilla, al nostro paradiso, a due passi da questa stazione, un letto, un lavandino, un’insegna sul balcone, un terzo piano d'albergo senza ascensore.

Mi prende in piedi, all'istante, il suo sesso che spunta, rigido, tra i denti di una lampo. La stessa lampo che s'impiglia, da sempre, la stessa mia gonna arrotolata sui fianchi, da sempre. Mi prende, il telefono risquilla, interrompe e cadenza i suoi movimenti, i miei, le ore di moglie e lavoro. Rapido consuma, passione che brucia dentro il mio sesso, che dico d'amore, che dice di fica. Rapido sale, lo sento, rapido scende, risucchia, gorgoglia, s’inalbera, uno stecco di pesco, mi bacia e mi preme, mi spinge, contro questa parete, contro tutti i muri da sempre, che hanno attutito l'ardore, scomposto mi cerca, m’insegna, m'insegue la voglia, ogni volta più in alto, ogni volta più aperta all'irruenza che abbraccio, che pazza gli urlo. Sono felice, quanto una donna che gode, che fa godere lungo i minuti che conta, che conto. Eccolo lo sento, esce all'improvviso, mi chiama con l'ultima voglia, che liquida sgocciola sulla moquette marrone, sulle piastrelle verdi di un bagno anonimo. Non mi ha mai bagnata, non ho mai sentito il calore, ma l'amo, amo le sue paure, la sua convinzione. "Stavolta ti giuro fuggiremo davvero". Domani alle sette, un treno, e poi un aereo, una città dove parlano lingue che io non conosco. Lo amo, amo il suo sesso, nessun altro mai m'ha penetrata dalle parti del cuore, oltre il piacere evidente, oltre l’amore indecente, oltre il mio sesso aperto, ora ed ovunque, in qualsiasi posto dove m'ha sfamato la voglia, il desiderio impellente d'allargare le gambe, d‘offrirgli i miei seni all‘ultima stilla, quando urla tra i denti, quando spalanco la bocca. Lo amo, convinta che per nessuno mai aspetterei minuti. Mi rivesto, chiude la porta, la nostra alcova, le tracce indelebili sulla moquette, la prova sul mio vestito. Scendiamo le scale, distanti, qualcuno ci guarda, "a domani allora", alle sette, i biglietti, il binario, la valigia, lo spazzolino da denti, i miei reggicalze.

Mattina presto. Sorrido, nello specchietto del trucco le mie speranze, s’adagiano a grumi come cipria ormai vecchia, una città, un paese, una casa, i muri spessi, una stanza da pranzo, le tende a fiori, i bicchieri a calice, un candelabro, un centrotavola di ortaggi e frutta, un divano, la scopa nuova, un letto, odore, sudore, mio, suo......…, magari un bambino, una sorella a suo figlio. Mi sento sua fino al midollo, m'ammiro la gonna, la sua preferita, le scarpe, un cappello nero, una veletta, toni scuri di rosso sulle mie labbra in attesa. Dubbi, flash ricordi che tornano veloci, di ieri sotto il portone, mi ripeto le parole, la sua voce convinta, sicura, ferma, come granito la sua mano, come roccia i suoi occhi, non possiamo più aspettare, domani, sì domani, domani mattina, presto, all'alba come nel film che abbiamo visto insieme, l’unico, come nel sogno che torna ogni notte, all'ora degli amanti, al freddo di chi fugge, nella nebbia di chi si nasconde..........

Cosa penserà sua moglie? Mio marito che chiama, chiama più forte, la mia parte del letto vuota, ma ora sono qui, accanto al mio borsone, che penso, che guardo il telefono muto, che guardo i miei tacchi. "Come farò a salire sul treno?" Lui mi aiuterà, mi porgerà la sua mano, guardo l'orologio, guardo lontano, oltre l’edicola, il distributore di caffè, i miei occhi scivolano sulle teste, non lo vedo, un fischio di treno, la stazione, un ritardo per tutta una vita, perché, un altro fischio, alzo la veletta per vederlo trafelato, la sua faccia che suda, che corre, sorride, mi bacia, mi brama, mi chiama, mi ama, mi ama davvero.

Mattina presto. Guardo ancora, ma nulla, volti sconosciuti, volti ordinari di sonno, di pendolari, di lavoro, stringo i pugni, il respiro che sale, che strozza, un altro fischio, gente che s’accalca, il treno che sbuffa, un rumore assordante, il marciapiede vuoto di cartacce e bottiglie, avvolto in una nube di vapore che piano si dirada, solo una donna con la veletta, un borsone, uno spazzolino da denti, i miei reggicalze, un treno, via........
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Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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