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RACCONTI
 
 

Adamo Bencivenga
E allora sognò Ostia




 


E allora sognò Ostia, grande città di mare, con il culo verso Roma e le tette messe a bagno, capelli dal barbiere e cozze sul lungomare, un’attrice ferma in posa, sul bagnasciuga di novembre, ha uno strascico da sposa, ed un vestito trasparente, flash e riflettori e un regista s’innamora… la tocca e la ritocca con la scusa della scena, del dettaglio del cappello sopra un nudo d’autore.

E allora sognò Ostia, grattachecche al tamarindo, angurie rosse rosse e telline ancora vive, tra le palme in fila indiana e raffiche di vento, tra le ville in faccia al mare, di fine anni trenta, truccate a tinte forti, come nobili signore, con il rossetto screpolato ed un foulard attorno al collo, per coprire gli anni a secchi e le notti senza sonno, le dita ossa e pelle e le gambe secche secche.

E allora sognò Ostia, grande città di mare, lui vecchio professore, ora da anni alla Sorbona, capo indiano nel Settanta, clandestino a Monteverde, i poliziotti sopra il tetto e la fuga dal balcone. Lasciò la sua casa, il cane Rudy e la sua donna, il mare d’ogni inverno, le foto sulla spiaggia, poi il biglietto per la Francia, su una nave da crociera, Marsiglia e poi Lione, lungo il Rodano in treno, sul passaporto un nome nuovo, una foto in bianco e nero, barba lunga e senza occhiali, ed i capelli corti corti.

E allora sognò Ostia, per le strade di Parigi, da solo come un cane, in cerca di un aiuto, un indirizzo, un sottoscala, un garage come casa, e sul muro un poster grande, a colori vista mare, le palme in fila indiana e raffiche di vento, e come amico un gatto nero, e tanti libri sopra il letto, per compagnia un transistor e ritagli di giornale, le pareti color muffa ed odori di minestra.

E allora sognò Ostia, grande città di mare, negli anni poi che passano o li fai passare, cameriere al ristorante, gestito da italiani, ma lui sognava Ostia, fuochi sparsi in pineta, quell’odore di fango e melma, che veniva giù da Roma, puttane sulla Colombo e nigeriane lungo il canale, appartate dietro i pini che mostravano la merce, ed offrivano posti caldi affollati in inverno.

E allora sognò Ostia, grande città di mare, travestiti sul pontile in borghese e senza trucco, e la pesca con le canne e pane mollo e bigattini, tra i pendolari con gli zoccoli in costume alla stazione, borsoni sulla spiaggia di panini e racchettoni, nelle domeniche di radio e buchi alle cabine, per spiare la più bella, per vedere lo splendore, di quella pelle bianca dove mai arriva il sole.

E allora sognò Ostia, grande città di mare, quando ad occhi chiusi respirava la tristezza, e sentiva acre e netto, quell’odore di bruciato, quel fumo denso cappa di gomme e copertoni, perché lui sognava Ostia, passeggiando sulla Senna, tra le barbe sotto i ponti, che non parlano romano, tra le icone di papi, lungo Rue de Rivolì, per sentirsi un po’ turista, un po’ compagno e un po’ di Ostia

E allora sognò Ostia, nella casa di Montmatre, accanto alla sua amante, assistente alla Sorbona, pittrice a tempo perso, senza seno e magra magra, lentiggini sul viso e grandi nei sulle spalle, con la voglia sempre pronta e moglie di un pompiere, incontrata una mattina nelle sale del d’Orsay, dopo un’ora già nel letto a raccontare la sua vita, ad eccitarsi fino a sera, pensando a suo marito, o davanti ad uno specchio a chiamarsi come quelle.

Non l’aveva mai amata perché lui sognava Ostia, quell’odore di spaghetti al sugo con la cernia, quelle spiagge oltre il porto dove ci vanno solo i cani, o amanti clandestini quando viene l’imbrunire, a lasciare orme e seme aspettando il mare grosso, con una radio ad onde corte per sentire i pescatori, che di notte da barca a barca ammazzavano la noia, vantandosi di pesci enormi mai pescati, vantandosi di donne stupende mai amate.

E allora sognò Ostia, quando decise di rimpatriare, salutò la Torre Eiffel con una lacrima riflessa, e sfidò la sorte vera, su una nave in alto mare, con quattro arabi e un polacco, clandestino nelle stive, e lo colse una tempesta dalle parti di Ajaccio, finché all’orizzonte intravide la sua terra, e una donna e un fazzoletto invecchiati di vent’anni, sulla spiaggia ad aspettarlo, alla foce del canale, ed alle spalle il lungomare, le ville anni trenta, truccate a tinte forti come nobili signore.

E allora vide Ostia, lui bambino tra i relitti, di barche e grandi storie, arenate sulla spiaggia, capitano di un galeone o mozzo sopra il ponte, alla caccia di pirati, predoni e giustizieri. E sbarcò come un eroe baciando la sua terra, una mano sopra il cuore e capelli da barbiere, ma tra le palme insecchite spuntarono in divisa, soldati in assetto di una guerra mai finita, e mani in alto e faccia al muro e manette strette ai polsi, una foto quasi in posa per il giornale di domani, ma lui sorrise alla sua donna, guardandola negli occhi, guardando verso Ostia, grande città di mare.

 









 



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Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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Photo  fabrizio castorina

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